Saturday, July 26, 2014

Così finisce il capitolo I di @operazionidigov


Capezzone – Marco, se sei nelle condizioni di ascoltare, procedi pure a un ascolto e traduzione di quel che gli Stati Uniti stanno dicendo. 

Perduca – La vice ambasciatrice americana ha ricordato ancora una volta le accuse presentate sul caso Idigov e ha affermato che, anche se gli Stati Uniti non sono stati d’accordo su alcune delle posizioni prese dal Partito Radicale durante i cinque anni in cui ha go- duto dello status consultivo, come per esempio sulla pena di morte, la Corte penale internazionale e anche su droga e antiproibizionismo, il principio fondamentale della libertà di espressione e di parola alle Nazioni Unite è per loro sacrosanto... [brusio] Fa anche parte del primo emendamento della costituzione americana e quindi, per gli americani, non ci sono dubbi: occorre rifiutare questa raccomandazione. Adesso si è iscritto a parlare il Giappone... [interruzione] Ti ripasso la linea un attimo... [brusio, rumori di sottofondo] Chi è? [cade la linea]
 
Capezzone – Scusa, Marco? [pausa] Ah, Marco Perduca è in questo momento al telefono sull’altra linea mentre sta prendendo la parola il Giappone. Allora, ricordiamo la sequenza degli interventi che ci sono stati al Palazzo di Vetro. Grazie a Marco Perduca stiamo seguendo in diretta la seduta. Vedremo tra poco se riusciamo a rista- bilire il collegamento con Marco Perduca. Marco, ci sei? 

Perduca – Sì, ci sono, chiedo scusa perché ho le batterie un po’ scariche e in più la sala è nel sottosuolo e cade spesso la linea. 

Capezzone – Allora, Marco, in questo momento stanno ancora intervenendo gli Stati Uniti. C’è una cosa che mi sembra... 

Perduca [tono concitato] No, no, no, scusa Daniele, gli Usa hanno finito... [brusio di sottofondo] Ha espresso la... [s’interrompe] Stanno votando, stanno votando! Stanno votando... 

Capezzone – Il voto è per appello nominale...

Perduca – No, pare che non sia per appello nominale, non è per appello nominale... [fruscii e rumori di sottofondo] Votano! Votano!

recensione di Marco Andrea Ciaccia su @formichenews

Thursday, July 24, 2014

Presentazione e ringraziamenti



Per comparare 
"Operazione Idigov
come il Partito Radicala ha sconfitto 
la Russia di Putin alle Nazioni Unite"
di Marco Perduca




Ho deciso di rompere gli indugi e scrivere finalmente questo li- bro dopo che il Professor Mauro Politi, all’epoca giudice della Corte penale internazionale, mi fece dono del volumetto L’Italia all’Onu a cura di Ranieri Tallarigo uscito nel 2007 per i tipi di Rubettino. 
 
Quella raccolta di testimonianze di diplomatici parla dei successi della Rappresentanza permanente d’Italia presso le Nazioni Unite dal 1993 al 1999. L’artefice di quello straordinario ed efficace gioco di squadra fu l’Ambasciatore Francesco Paolo Fulci che riuscì a vincere 27 delle 28 elezioni a cui fu candidato un nostro connazionale perdendo una sola volta per un voto. 

Nella prefazione de l’Italia all’Onu l’Ambasciatore Tallarigo scrive che “ce n’è abbastanza perché il tutto venga considerato una sorta di ‘manuale di servizio’ di diplomazia multilaterale a valere soprattutto per i più giovani colleghi che operano ed opereranno in un difficile ‘posto’ come quello di New York, all’Onu”. Un auspicio ripetuto più avanti da Fulci stesso che nella sua introduzione chiarisce “l’intento [del libro] è soltanto ripercorrere un’esperienza per offrire a quantia vranno l’opportunità di servire nel quadro societario – sopratutto ai funzionari più giovani – un esempio dei metodi adottati e dei risultati concreti che una team diplomacy, fortemente motivata, è in grado di conseguire al servizio del Paese”. 

L’Ambasciatore Fulci, col quale il Partito Radicale aveva tentato già nel 1994 la presentazione all’Assemblea generale dell’Onu di una risoluzione sulla Moratoria Universale della pena di morte (iniziativa non andata a buon fine per una manciata di voti) non appare nella vicenda al centro di questo libro perché aveva lasciato New York l’anno prima. In compenso, durante i negoziati in seno al Comitato sulle organizzazioni non-governative di quella estate del 2000, ci dovemmo confrontare più volte coi precedenti da lui creati al Consiglio economico e sociale che aveva presieduto a conclu- sione del suo mandato. Non fu facile annullarli. 
 
Lungi dal voler suggerire alcun tipo di improbabile paragone tra questo libro e quel volumetto, anche io mi permetto di caldeggiare la lettura di quanto qui raccolto a chi si occupa di diplomazia o di negoziati nei fori multilaterali. Pur in una forma che non è quella del saggio, né quella del pamphlet politico, ma forse proprio per questi motivi, questo racconto presenta questioni di merito e di metodo.

La struttura narrativa vuole anche mettere in evidenza le peculiarità della comunicazione radicale che privilegia la tradizione orale a quella scritta. Il racconto infatti inizia e si conclude con la trascrizione di una radiocronaca “pirata” che feci assieme a Daniele Capezzone per Radio Radicale durante il voto nella notte del 18 ottobre 2000, prosegue con un mio ricordo dell’antefatto, e per il resto rievoca quelle settimane di intensissimo lavoro con i documenti ufficiali dell’Onu e del Partito Radicale nonché i messaggi quotidiani che i vari uffici del Partito si scambiavano sulle varie iniziative necessarie a sovvertire una decisione delle Nazioni Unite. 

Come direbbe l’Ambasciatore Fulci, in quella estate del 2000 fu messa in atto un’operazione di team diplomacy non-governativa da parte della Farnesina Radicale fortemente motivata nel perseguire un risultato molto concreto: sconfiggere la richiesta della Russia di Vladimir Putin di espellere il Partito Radicale dall’Onu perché ritenuto fiancheggiatore di terroristi ceceni.

La posta in ballo era alta e il nemico potente. Ma anche quando una soluzione compromissoria sembrava essere a portata di mano il Partito Radicale non ha mai derogato alle proprie convinzioni né alla pretesa del rispetto delle procedure. La vittoria riportata il 18 ottobre 2000 testimonia, una volta di più, che fare quello che si deve può far perseguire con successo il “possibile” contro il “probabile” anche in un contesto dalle dinamiche complesse e dalle procedure bizantine come le Nazioni Unite. 

Questo libro vuole essere un ricordo narrativo di un segmento della storia transnazionale del Partito Radicale, un tributo a tutte le vittime innocenti del conflitto russo-ceceno e all’opera di giornalismo militante di Antonio Russo che, per denunciare le violazioni del Diritto umanitario internazionale in Cecenia, fu ucciso in Georgia alla vigilia del voto che salvò il suo Partito al Palazzo di Vetro. 
 
La ricostruzione e composizione di questi ricordi e tributi però non sarebbe mai stata possibile senza il lavoro di speleologo digitale di Mihai Romanciuc. Un ulteriore ringraziamento a Stefano Musilli per tre riletture in extremis e alla Reality Book per la pazienza. Infine un sentito grazie a Andi, Nino e Klodian Jacellari per la loro calorosa ospitalità al bar Il Prado a Trastevere. Grazie anche a Aurelio Candido per la copertina. 

Senza gli stimoli e l’appassionata e militante dedizione di Sara Tescione, senza le sue pazienti trascrizioni, letture e riletture delle prime travagliate stesure, questo libro non avrebbe mai visto la luce. A lei sempiterna riconoscenza e gratitudine.

Non nego di aver pianto spesso nello scrivere e rileggere queste pagine, anche perché ogni riferimento a persone o fatti realmente accaduti è propriamente causale.

Friday, July 18, 2014

Recensione de @ilfoglio_it di @operazionidigov "sembra una spy story..."

 Marco Perduca
OPERAZIONE IDIGOV
Reality book, 270 pp., 18 euro

Sembra una spy story da cortina di ferro (a partire dai misteriosi caratteri cirillici che campeggiano sulla copertina), invece è una storia vera, sospesa tra alta diplomazia e cronaca di guerra, dispacci e alti funzionari, monaci buddisti e filantropi cosmopoliti, delegati russi e delegati americani, francesi e tedeschi in combutta, spedizioni nel Caucaso, tè indigesti e ancor più indigeste uova fritte, piccole "war room" fumose, cartine segrete, vecchi telefoni cellulari, messaggi in codice e personaggi enigmatici che compaiono con la loro valigetta sulle rive del lago di Ginevra, a pochi passi da un ufficio delle Nazioni Unite. Siamo nell`anno Duemila, tra New York, la Svizzera e Roma. 

Precisamente in via di Torre Argentina, storica sede del Partito radicale, la cui diramazione extraterritoriale, il Partito radicale internazionale, è protagonista, nel libro, di un caso politico-giuridico che farà scuola: qui si dimostra, tra le pieghe di una complicatissima gestione di un voto all'Onu, come un'organizzazione non governativa possa riuscire, attraverso vicissitudini rocambolesche interne ed esterne al Palazzo di vetro, a sventare l`espulsione dall`Ecosoc, consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite, precedentemente chiesta da una grande potenza - in questo caso la Federazione russa - ai tempi della guerra di Cecenia. 

I fatti narrati in prima persona, documentati con lettere, dispacci, radiocronache pirata su Radio Radicale e resoconti dietro le quinte dell'autore (ex senatore radicale nel Pd fino al 2013 ed ex rappresentante radicale all'Onu all'epoca degli eventi in questione), compongono un`inedita fotografia "dall'interno" di vertici internazionali in cui un voto negativo di un paese indeciso, e un impercettibile cambiamento nei rapporti di forza, può significare la messa all'angolo anche mediatica di chi per lavoro, passione, abitudine o fissazione, porta alla ribalta internazionale la voce di minoranze, popoli oppressi e gruppi etnici a rischio di continue violazioni dei diritti umani. Nel girotondo forsennato di quelli che sembrano, lì per lì, a un occhio esterno, dei simpatici "pazzi" che vogliono cambiare il mondo (e fermare l'espulsione dall'Onu da un alberghetto svizzero a due passi dalla stazione, popolato di avventori prodighi di avventure da raccontare), irrompe la corazzata della ragione politica altrui. Che si squarcia all'arrivo delle ultime voci dal fronte, nei giorni più drammatici del conflitto nel Caucaso (a Torre Argentina intanto arriva la notizia della morte in Cecenia del cronista Antonio Russo). 

Il casus belli della vicenda diplomatica, l'intervento in una commissione Onu a Ginevra del parlamentare ceceno Akhyad Idigov, intervento propiziato dai radicali e accolto con silenzi imbarazzati per la denuncia di gravi violazioni di diritti umani in Cecenia, avviene proprio nel momento in cui l'allora alto commissario per i diritti umani Mary Robinson, reduce da un sopralluogo sul campo e da un incidente diplomatico nella Russia di Vladimir Putin, accende un riflettore sulla non sostenibilità della situazione per i civili nel Caucaso. Ma è quello che accade nelle segrete stanze newyorchesi, nel cuore del Palazzo di vetro, tra bisbiglii e incertezze e vertici prevoto, nei corridoi dove chi sa più lingue carpisce la sottigliezza che fa la differenza, a costituire il cuore della vicenda. E' lì, tra freddi esponenti di paesi terzi, nei ricevimenti fintamente mondani, nelle mense dove ci si guarda in cagnesco, che nasce la vera opera di lobbying diplomatica.

Ed è lì che può tornare utile la notte passata da qualche compagno radicale
su una montagna non lontana da Pristina alla fine degli anni Novanta, tra ribelli e informatori, armi e indizi utili a incriminare all'Aia Slobodan Milosevic (ma questa è un'altra storia).

Saturday, July 12, 2014

intervento di Akhyad Idigov alla 56ma Commissione diritti umani dell'Onu, aprile 2000



11 Aprile 2000
56ma sessione della Commissione per i diritti umani delle Nazioni Unite
Dibattito aperto sul rapporto dell’Alto commissario sulla situazione in Cecenia
Intervento orale del Partito Radicale Transnazionale
Pronunciato dall’onorevole Akhyad Idigov

Signor Presidente,

intervengo a nome del Partito Radicale Transnazionale a seguito della recente visita dell’Alto commissario in Russia e nella Repubblica cecena di Ichkeria.

Con la visita del commissario Robinson la gravità delle violazioni russe del diritto internazionale in questo angolo d’Europa è finalmente diventata evidente al mondo intero. La durata – dal 1991 – e l’estensione di questo processo hanno ormai assunto una dimensione pericolosissima. Per motivi etnici i ceceni vengono perseguitati in tutta la Federazione russa, mentre in terra cecena essi vengono semplicemente uccisi senza processo, oppure con pesanti bombardamenti di interi villaggi.

La Russia, degno successore dell’Unione Sovietica, continua l’epopea di sangue che iniziò in Afghanistan, passando poi per la Lituania, il Nagorno Karabakh, l’Azerbaigian, il Kazakistan, la valle di Fergana, la Georgia, il Tagikistan, la Moldavia, l’Abkazia, l’Inguscezia, fino ad arrivare alla Cecenia… La lista continuerà ad andare avanti se non saranno adottare misure a livello internazionale per porvi fine.   

Sin dal 1991 la comunità internazionale è rimasta silente di fronte a tanta violenza consentendo all’assenza di stato di diritto di prevalere in quest’area del mondo. Quante altre vittime innocenti dovranno morire? Quante altre lacrime dovranno essere versate da bambini e donne che hanno perso case e famiglia? I ceceni vengono anche privati del diritto allo status di rifugiato nonché alla libertà di movimento ovunque, inclusa l’Europa.

La guerra indiscriminata e le operazioni di pulizia etnica condotte contro i ceceni dalla Russia possono solo essere descritte in termini di genocidio. Occorre una reazione appropriata da parte della comunità internazionale.

Signor Presidente,

Il diritto dei ceceni all’autodeterminazione è un elemento fondamentale per la stabilità e la pace del Caucaso. Non possiamo non affrontare questa questione cruciale, che si nasconde dietro tutte le azioni della Russia contro la Repubblica cecena di Ichkeria e la sua popolazione.

Dal 1991, in linea con il diritto internazionale, le leggi dell’Unione Sovietica e della Federazione russa, nonché nel rispetto della dichiarazione sulla sovranità statale del 12 giugno 1990, la Cecenia ha fatto uso del diritto a formare un proprio stato come hanno fatto altri paesi ex sovietici di recente indipendenza.    

[La delegazione della russa interrompe l’intervento lamentando che la Cecenia è una repubblica della Federazione russa]

Ciò è stato fatto con l’obiettivo di garantire, attraverso la comunità internazionale, la sicurezza per la popolazione cecena, una sicurezza negata dalla Russia per quattrocento anni con deportazioni periodiche e guerre ogni quaranta-cinquant’anni. Tale diritto dei ceceni viene ancora oggi negato e, se ciò dovesse continuare, potrebbe condurre soltanto al completo annientamento della popolazione cecena.

Occorre ricordare che il 12 maggio 1997, al termine dell’ultima guerra russo-cecena del 1994-1996, la Russia firmò un trattato di pace e coesistenza con la Repubblica cecena di Ichkeria. Il principio cardine di tale accordo era la costruzione di relazioni bilaterali sulla base del diritto internazionale. La Russia ha subito violato i termini di quell’accordo che pure aveva firmato isolando la Cecenia dal resto del mondo e creando le condizioni per lo sviluppo della situazione a cui assistiamo oggi.

Le autorità russe hanno fatto del loro meglio per fomentare la paura presso i popoli che vivono all’interno dei propri confini. Per giustificare la guerra contro i ceceni, per vincere le elezioni presidenziali del 2000 e per minare gli interessi economici dei paesi occidentali che tentavano di bypassare Mosca si è sempre utilizzato il pretesto della lotta al terrorismo.

Signor Presidente,

al fine di ottenere la pace è fondamentale che i negoziati tra le parti abbiano inizio sotto stretto monitoraggio internazionale a garanzia degli accordi raggiunti. Per poter essere efficaci tutto deve avvenire tra le autorità cecene legalmente elette nel 1997 sotto la leadership del Presidente Aslan Maskhadov e Mosca. Ogni altra soluzione non rispetterebbe la volontà del popolo ceceno e sarebbe destinata al fallimento.

Friday, July 11, 2014

Chi sa chi fosse Aslan Mashadov? se ne parla in @operazionidigov

Aslan Alievič Maskhadov (in ceceno: Аслан Али кант Масхадан, Aslan Ali kant Masxadan; in russo: Аслан Алиевич Масхадов?) (Shakai, 21 settembre 1951Tolstoj-Jurt, 8 marzo 2005) è stato un militare e politico russo, di etnia cecena. È stato dapprima un colonnello dell'Esercito Sovietico e in seguito un leader politico, terzo Presidente della Repubblica Cecena, uno stato del Caucaso settentrionale. (continua a leggere qui)




Thursday, July 10, 2014

in @operazionidigov si parla delle guerre cecene. Ecco alcune foto di uno dei più sanguinari conflitti europei

Per comparare 
"Operazione Idigov
come il Partito Radicala ha sconfitto 
la Russia di Putin alle Nazinoi unite"








Introduzione di @emmabonino a @operazionidigov, il primo libro di @perdukistan


Introduzione di Emma Bonino a “Operazione Idigov, come il Partito Radicale ha sconfitto la Russia di Putin alle Nazioni unite”, il primo libro di Marco Perduca

Per comparare 
"Operazione Idigov
come il Partito Radicala ha sconfitto 
la Russia di Putin alle Nazioni Unite"




È raro che escano libri sul Partito Radicale, è molto raro che vengano scritti da un radicale, ma è ancor più raro che questi affrontino le attività che il Partito ha portato avanti in seno alle Nazioni Unite. Eppure, negli ultimi trent’anni, il Partito Radicale, che oggi ha aggiunto formalmente al proprio nome i tre aggettivi che lo caratterizzano per metodo di lotta, fronti e composizione – e cioè nonviolento, transnazionale e transpartito –, ha contribuito in modo sostanziale all’avanzamento della protezione e affermazione dei diritti umani in molte aree del mondo legando situazioni specifiche alla promozione di riforme dello Stato di Diritto a livello internazionale.

Nel 1995 l’Onu riconobbe il contributo radicale agli affari internazionali conferendo al Partito l’affiliazione di prima categoria al Consiglio economico e sociale (Ecosoc). Da allora tutte le campagne transnazionali dei radicali sono confluite alle Nazioni Unite grazie proprio a quello status consultivo – un’opportunità in più per coinvolgere Stati e altre Ong su obiettivi specifici. Che si trattasse dell’abolizione della pena di morte attraverso una Moratoria Universale delle esecuzioni capitali piuttosto che la creazione dei Tribunali ad hoc per l’ex-Jugoslavia o il Ruanda, oppure l’istituzione della Corte penale internazionale o ancora la messa al bando delle Mutilazioni Genitali Femminili, il Partito Radicale e le sue associazioni costituenti sono riuscite a instaurare e consolidare un proficuo rapporto diretto col Palazzo di Vetro e le sue agenzie. I risultati, tutt’altro che scontati, sono poi puntualmente arrivati.

La vicenda narrata in questo libro non ripercorre però quelle campagne storiche ma ricorda, tra le altre cose, come i radicali siano riusciti a divenire a livello transnazionale quello che in Italia erano stati per anni: un partito di servizio. Un partito di servizio per le lotte, le denunce e le proposte di altri oltre che per altri. Lotte, denunce e proposte chiaramente nonviolente e per la conquista di Diritto e diritti per tutti.

Fin dai tempi dell’Urss il Partito Radicale aveva stretto rapporti con intellettuali e politici che coraggiosamente e pacificamente ave¬vano manifestato il proprio dissenso al regime sovietico. Molti furono ad esempio i refuznik che riuscimmo a salvare dalle persecuzioni di un sistema che di lì a poco sarebbe scomparso. Alla caduta del Muro di Berlino i radicali furono tra i primi a occuparsi del futuro delle ex-repubbliche sovietiche e, di lì a poco, anche dei loro satelliti, primi fra tutti quelli nei Balcani.

Forte di una straordinaria campagna di iscrizioni che coinvolse oltre quarantamila mila persone e centinaia di parlamentari, all’inizio degli anni Novanta il Partito Radicale riuscì ad aprire uffici in una ventina di paesi dell’Europa dell’est e a raggiungere i propri iscritti e simpatizzanti con una pubblicazione, “Il Partito Nuovo”, che veniva stampato in diciotto lingue. La novità di quel soggetto politico transnazionale e trans¬partitico risiedeva nel voler coniugare la promozione di specifiche riforme costituzionali di chiaro stampo liberal-democratico a questioni più generali, come la necessità di abolire la pena di morte, per evitare che la giustizia sommaria, sempre in agguato in periodi di transizione, avesse il sopravvento sullo Stato di Diritto. Allo stesso tempo, sempre in quegli anni, si gettavano le basi per la creazione di una giurisdizione ad hoc che assicurasse i responsabili del conflitto jugoslavo a una giustizia che fosse giusta e imparziale. Per il Partito Radicale, il partito dello Stato di Diritto, il rispetto delle regole è sempre stato di fondamentale importanza tanto per gli amici quanto per gli avversari.

Nella primavera del 2000 si stava consumando l’ultimo capitolo di uno dei conflitti più drammatici e tragici – e mistificati – del-l’Europa moderna, quello in Cecenia. A poco era valso l’accordo di pace di tre anni prima tra Mosca e Groznyj, dalla fine del 1999 nel Caucaso si sparava senza risparmiare la popolazione civile. Per quanto la Commissione europea, il Consiglio d’Europa e gli Usa fossero stati categorici nel denunciare le violazioni dei diritti umani nella regione, non fu possibile creare le condizioni politiche per la ricerca di una pace negoziata né, purtroppo, per evitare che decine di migliaia di civili, e fra questi moltissime donne e bambini, cadessero vittime della guerra.

Per non lasciare niente di intentato, consci dei rischi che ciò poteva comportare, fu deciso di sostenere l’opera politica di quei pochi ceceni che parevano aver fatto proprio lo slogan radicale “non c’è pace senza giustizia”. Il Partito Radicale decise di invitare a Ginevra un parlamentare ceceno – eletto sotto la supervisione dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa nel 1997 – al fine di farlo entrare in contatto con la comunità internazionale e proporre l’avvio di un negoziato di pace da tenersi sotto l’egida di quelle organizzazioni regionali e internazionali che si erano attivate sul conflitto caucasico.

La partecipazione dell’iscritto radicale Akhyad Idigov alla Commissione diritti umani di Ginevra del 2000 contribuì, in modo so-stanziale, all’apertura di quel dibattito che l’allora Alto commissario Mary Robinson aveva cercato di suscitare per coinvolgere le parti nella ricerca della fine delle ostilità. Come spesso accade, quando la realtà sul campo viene raccontata dai diretti interessati piuttosto che da esperti o commentatori, le reazioni furono forti. Questo libro racconta tanto le azioni quanto le reazioni di molti dei soggetti coinvolti in quel conflitto.

Nel commentare a caldo il voto che la notte del 18 ottobre 2000 non ratificò la proposta della Federazione russa di sanzionare il Partito Radicale, a Radio Radicale dissi che aveva “vinto la verità, soprattutto la verità di quello che siamo e di quello che a partire da oggi, a maggior ragione, vogliamo continuare ad essere”. Il Partito Radicale, che aveva svolto un ruolo cruciale perché Slobodan Milosevic fosse prima incriminato e poi trasferito all’Aia per essere pro¬cessato per le responsabilità nella guerra jugoslava – cosa puntualmente avvenuta proprio nel 2000 – ha poi dedicato buona parte delle proprie risorse umane e finanziare per suscitare le sessanta ratifiche necessarie a far entrare in vigore lo Statuto di Roma della Corte penale internazionale, obiettivo raggiunto nel luglio 2002; non ha smesso di operare in mezzo mondo affinché l’Assemblea generale facesse propria la prospettiva strategica della promozione di una Moratoria Universale delle esecuzioni capitali per cancellare le pena di morte dai codici penali di tutto il mondo, successo ottenuto nel 2007; ha in¬fine agito per la definitiva messa al bando delle mutilazioni genitali femminili con una proclamazione solenne del Palazzo di Vetro, avvenuta all’unanimità degli Stati membri dell’Onu nel 2012.

Il Partito Radicale ha continuato quindi a fare quello che ha sempre fatto in Italia e nel mondo: iniziative politiche su obiettivi concreti con il coinvolgimento di compagni di strada tra i più disparati e disperati. In questo confronto-contaminazione sono state fatte conoscere realtà sconosciute e silenziate di mezzo mondo e si è anche riusciti ad aprire brecce in contesti sociali e politici che non avevano mai preso in considerazione la nonviolenza, l’affermazione dei diritti individuali o il federalismo politico e amministrativo.

Con il voto dell’ottobre 2000 si concluse una battaglia fatta anche di passi istituzionali e diplomatici, di chiarezza di posizioni, di coinvolgimento dell’opinione pubblica, di appelli alla responsabilità di tutti e ciascuno. Credo che il combinato disposto dei due settori su cui il Partito Radicale ha sempre lavorato – quello istituzionale e diplomatico e quello della chiarezza e rivendicazione delle proprie posizioni – sia stato determinante per il ribaltamento della proposta di sanzione della Federazione russa.

Quella vittoria fu, e resta, una vittoria di tutti. Una vittoria molto importante anche per tutte quelle organizzazioni non-governative, e sono moltissime, che si occupano di diritti umani. Una vittoria del-la verità, della trasparenza e del pieno rispetto delle procedure. Una vittoria anche della capacità di trasformare dei compassati diplomatici in militanti dei diritti umani e del principio di legalità e, di converso, di trasformare dei militanti radicali in misurati diplomatici. Nella scia di quel successo e degli obiettivi raggiunti successivamente, oggi vedrei con favore la mobilitazione dell’Italia a sostegno della campagna contro i matrimoni forzati, un fenomeno diffusissimo in numerose parti del mondo e che riguarda oltre quattordici milioni di bambine e ragazze sotto i diciotto anni.

Parlare di Partito Radicale, Nazioni Unite e Cecenia non può non far tornare in mente Antonio Russo. Anche la vicenda di Antonio è una vicenda che ruota intorno alla verità. Alla verità che Antonio cercava col suo lavoro di giornalista di Radio Radicale e di militante del Partito Radicale, alla verità sulle circostanze della sua morte. Verità che occorre continuare a cercare sia per la memoria storica del lavoro di Antonio che per la sua.

Spero che a questo primo ricordo di presenza del Partito Radicale alle Nazioni Unite ne possano seguire altri, anche per scongiurare indietreggiamenti, come accadde pochi anni fa quando il Vietnam pretese di nuovo una grave sanzione contro di noi e chi si batteva per i diritti dei popoli indigeni degli Altopiani centrali vietnamiti. Rivolgo quindi un sincero ringraziamento a Marco Perduca per aver raccontato un pezzo di storia che meritava di essere ricordato per l’impatto innovativo che ha avuto su metodi, procedure e prassi a livello internazionale, e che dovrà continuare ad esserlo nella sua presente e futura evoluzione del Partito ma anche delle Nazioni Unite.