Wednesday, March 26, 2014

dalla postfazione di "Operazione Idigov, come @radicalparty sconfisse la Russia di Putin all'Onu

A metà maggio del 2013 la missione permanente cinese presso le Nazioni unite di New York aveva fatto sapere alla diplomazia italiana, all'epoca guidata dall'Ambasciatore Cesare Maria Ragaglini, che la Repubblica popolare di Cina aveva l'intenzione di iscrivere nell’agenda dell’Ecosoc la possibilità di imputare - per la terza volta - al Partito Radicale fatti gravi che avrebbero potuto legittimarne la sospensione o l'espulsione dal sistema Onu. Le accuse erano relative alla co-sponsorizzazione di alcune attività organizzate nel marzo di quell'anno a Ginevra con uiguri, a cui avevano partecipato anche tibetani, mongoli, rappresentanti della Manciuria, falungong e a intellettuali critici del regime di Pechino che vivono all'estero. Anche io avevo preso la parola alla cerimonia di apertura.

Non appena ricevuta la notizia Marco Panella e Niccolò Figà-Talamanca son volati a New York alla ricerca di un'interlocuzione con la Cina nel momento in cui era stata comunicata una loro "minaccia" di sanzione. Pechino aveva fatto sapere in via confidenziale all'Ambasciatore Ragaglini e ai suoi collaboratori che i Radicali erano di nuovo entrati nell'occhio del ciclone alle Nazinoi unite e che sarebbe stato chiesto loro l'impegno di non promuovere più alcune delle iniziative che negli anni erano state portate avanti con il Dalai Lama e Rebya Kadeer perché ritenute attività a sostegno di gruppi secessionisti che mettono in dubbio la sovranità territoriale della Repubblica Popolare Cinese.

Niente di più lontano da quanto i due leader delle comunità tibetane e uigure chiedono né, naturalmente, niente di più lontano da quanto un Partito federalista, e federalista europeo, come il Partito Radicale propone da anni per consentire il rispetto dei diritti umani e la promozione dello Stato di Diritto democratico. Nel rispondere alla preoccupazioni cinesi a nome del Partito Radicale, Pannella ha tenuto a specificare e a informare Pechino di quale sia la storica proposta politica dei Radicali: operare con una proposta positiva che non sia l'affermazione di un'indipendenza, o tante piccole indipendenze, ma di una riforma più ampia che promuova i diritti individuali che siano goduti non in virtù dell'esistenza di una sovranità nazionale assoluta ma grazie al rispetto dello Stato di Diritto internazionale. Quello Stato di Diritto internazionale che si articola in decine di trattati che codificano i diritti umani storicamente conquistati con lotte nazionali e transnazionali spesso, per l'appunto, nonviolente.

[...]

Sunday, March 23, 2014

dal Capitolo 2 di @operazionidigov, come @radicalparty ha sconfitto la Russia di Putin all'ONU

Fin dai tempi dell'Urss il Partito radicale aveva stretto rapporti con intellettuali e politici che coraggiosamente e pacificamente avevano manifestato il proprio dissenso al regime sovietico. Molti furono ad esempio i refusnik che riuscimmo a salvare dalle persecuzioni di un sistema che di lì a poco sarebbe scomparso. Alla caduta del Muro di Berlino i radicali furono tra i primi a occuparsi del futuro delle ex-repubbliche sovietiche e, di lì a poco, anche dei loro satelliti, primi fra tutti quelli nei Balcani.

Forte di una straordinaria campagna di iscrizioni che coinvolse oltre quarantamila mila persone e centinaia di parlamentari, all'inizio degli anni Novanta il Partito Radicale riuscì ad aprire uffici in una ventina di paesi dell'Europa dell'est e a raggiungere i propri iscritti e simpatizzanti con una pubblicazione, "Il Partito Nuovo" che veniva stampato in diciotto lingue. La novità di quel soggetto politico transnazionale e trans-partitico risiedeva nel voler coniugare la promozione di specifiche riforme costituzionali di chiaro stampo liberal-democratico a questioni più generali, come la necessità di abolire la pena di morte, per evitare che la giustizia sommaria, sempre in agguato in periodi di transizione, avesse il sopravvento sullo Stato di Diritto. Allo stesso tempo, sempre in quegli anni, si gettavano le basi per la creazione di una giurisdizione ad hoc che assicurasse i responsabili del conflitto jugoslavo a una giustizia che fosse giusta e imparziale. Per il Partito Radicale, il partito dello Stato di Diritto, il rispetto delle regole è sempre stato di fondamentale importanza tanto per gli amici quanto per gli avversari.

Nella primavera del 2000 si stava consumando l'ultimo capitolo di uno dei conflitti più drammatici e tragici – e mistificati - dell'Europa moderna, quello in Cecenia. A poco era valso l'accordo di pace di tre anni prima tra Mosca e Groznyj, dalla fine del 1999 nel Caucaso si sparava senza risparmiare la popolazione civile. Per quanto la Commissione europea, il Consiglio d'Europa e gli Usa fossero stati categorici nel denunciare le violazioni dei diritti umani nella regione, non fu possibile creare le condizioni politiche per la ricerca di una pace negoziata né, purtroppo, per evitare che decine di migliaia di civili, e fra questi moltissime donne e bambini, cadessero vittime della guerra.

Saturday, March 22, 2014

Leggi perché anche @capezzone appare in @operazionidigov come @radicalparty ha sconfitto la Russia di Putin all'Onu

Daniele Capezzone:
Buonasera agli ascoltatori di Radio Radicale, sono le 22.35 del 18 ottobre. In studio Daniele Capezzone per il consueto appuntamento serale, che stasera non sarà però affatto consueto. In questo momento la madre di Antonio Russo sta volando da Roma a Tbilisi per recuperare la salma del figlio, la salma di Antonio. La signora Russo è accompagnata da Marino Busdachin e dal segretario del Partito Radicale Transnazionale Olivier Dupuis. Contemporaneamente, ad alcune migliaia di chilometri di distanza, i delegati di cinquantaquattro paesi membri dell’Ecosoc, del Consiglio economico e sociale dell’Onu, stanno per decidere sulla sorte – sull’estromissione o no, sulla sospensione per tre anni dall’Onu o no – del partito di Antonio Russo, del Partito Radicale Transnazionale. Questa sera abbiamo iniziato prima perché tenteremo un esperimento radiofonico vero e proprio: ci collegheremo con Marco Perduca, rappresentante del Partito Radicale all’Onu, che si trova con il suo cellulare all’interno dell’aula dove l’Ecosoc si sta riunendo. Cercheremo di fare una sorta di radiocronaca in diretta di quello che sta per succedere. Da quanto abbiamo capito, sono stati esauriti i tre punti precedenti all’ordine del giorno. Il prossimo è il Partito Radicale. Cerchiamo subito di capire qualcosa di più da Marco Perduca che dovrebbe già essere in collegamento con noi. Marco, ci senti?

Marco Perduca:
[A voce molto bassa] Ciao Daniele, un saluto agli ascoltatori. Chiedo scusa per la qualità del suono, ma siamo nel sottosuolo delle Nazioni Unite, dove, come dicevi tu, si sta tenendo la riunione finale dell’Ecosoc relativamente alla questione dell’espulsione del Partito Radicale Transnazionale.

Capezzone:
Allora, si sta già passando al punto che riguarda il Partito Radicale?

dalla presentazione di "Operazione Idigov, come @radicalparty ha sconfitto la Russia di Putin alle Nazioni unite nel 2000"

Presentazione e ringraziamenti

Ho deciso di rompere gli indugi e scrivere, finalmente, questo libro dopo che il Professor Mauro Politi, all'epoca giudice della Corte penale internazionale, mi fece dono del volumetto L'Italia all'ONU a cura di Ranieri Tallarigo uscito nel 2007 per i tipi di Rubettino.

Quella raccolta di testimonianze di diplomatici parla dei successi della Rappresentanza permanente d'Italia presso le Nazioni unite dal 1993 al 1999.  L'artefice di quello straordinario ed efficace gioco di squadra fu l'Ambasciatore Francesco Paolo Fulci che riuscí a vincere 27 delle 28 elezioni a cui fu candidato un nostro connazionale perdendo una sola volta per un voto.

Nella prefazione de l'Italia all'ONU l'Ambasciatore Tallarigo scrive che “ce n’è abbastanza perché il tutto venga considerato una sorta di 'manuale di servizio' di diplomazia multilaterale a valere soprattutto per i più giovani colleghi che operano ed opereranno in un difficile 'posto' come quello di New York, all'ONU”. Un auspicio ripetuto più avanti da Fulci stesso che nella sua introduzione chiarisce “l'intento [del libro] è soltanto ripercorrere un'esperienza per offrire a quanti avranno l'opportunità di servire nel quadro societario – sopratutto ai funzionari più giovani – un esempio dei metodi adottati e dei risultati concreti che una team diplomacy, fortemente motivata, è in grado di conseguire al servizio del Paese”.


[segue]

Friday, March 21, 2014

Dall'introduzione di @emmabonino a "Operazione Idigov" di @perdukistan

E' raro che escano libri sul Partito Radicale, è molto raro che vengano scritti da un radicale, ma è ancor più raro che questi affrontino le attività che il Partito ha portato avanti in seno alle Nazioni Unite. Eppure, negli ultimi trenta  anni, il Partito Radicale, che oggi ha aggiunto formalmente al proprio nome i tre aggettivi che lo caratterizzano per metodo di lotta, fronti e composizione e cioè nonviolento, transnazionale e trans-partito, ha contribuito in modo sostanziale all'avanzamento della protezione e affermazione dei diritti umani in molte aree del mondo legando situazioni specifiche alla promozione di riforme dello Stato di Diritto a livello internazionale.

Nel 1995 l’Onu riconobbe il contributo radicale agli affari internazionali conferendo al Partito l'affiliazione di prima categoria al Consiglio economico e sociale (Ecosoc). Da allora tutte le campagne transnazionali dei radicali sono confluite alle Nazioni Unite grazie proprio a quello status consultivo - un’opportunità in più per coinvolgere Stati e altre Ong su obiettivi specifici. Che si trattasse dell'abolizione della pena di morte attraverso una Moratoria Universale delle esecuzioni capitali piuttosto che la creazione dei Tribunali ad hoc per l'ex-Jugoslavia o il Ruanda oppure l'istituzione della Corte penale internazionale o ancora la messa al bando delle Mutilazioni Genitali Femminili, il Partito Radicale e le sue associazioni costituenti sono riuscite a instaurare e consolidare un proficuo rapporto diretto col Palazzo di Vetro e le sue agenzie. I risultati, tutt'altro che scontati, sono poi puntualmente arrivati.

La vicenda narrata in questo libro non ripercorre però quelle campagne storiche ma ricorda, tra le altre cose, come i radicali siano riusciti a divenire a livello transnazionale quello che in Italia erano stati per anni: un partito di servizio. Un partito di servizio per le lotte, le denunce e le proposte di altri oltre che per altri. Lotte, denunce e proposte chiaramente nonviolente e per la conquista di Diritto e diritti per tutti.


[segue]

Su Wei Jinsheng da "Operazione Idigov, come il @partitoradicale sconfisse la Russia di Putin alle Nazioni unite nel 2000"


Wei Jinsheng fuma come una ciminiera. Anzi fuma, o almeno fumava, come Marco Pannella, Emma Bonino e Olivier Dupuis messi insieme. Sarà stato il jetlag, sarà stata la tensione, sarà stata la possibilità di assaporare finalmente delle Marlboro non made in China, fatto sta che per parlarci con la calma necessaria per articolare un discorso complesso bisognava appartarsi nella puzzolentissima zona fumatori del caffé del Palais des Nations. E meno male che almeno c’era quello spazio. L’alternativa, infatti, sarebbe stata conferire nel parcheggio dei tassisti turchi fuori dall’edificio centrale dove, proverbialmente tutti hanno sempre una sigaretta in bocca. Io odio il fumo.

Wei Jinsheng era un fiume in piena quando parlava. La povera Ciping, che sicuramente conosceva a memoria i racconti, le denunce e anche gli aneddoti del suo capo e leader, traduceva tutto con appassionata velocità, concedendosi ogni tanto qualche chiosa per rendere meno intricata la matassa dei racconti di Wei zeppi di nomi e cognomi cinesi che a me sembravano tutti uguali.

Ottenuta la libertà condizionale nel 1993, Wei aveva iniziato a darsi da fare per raccogliere soldi in aiuto delle famiglie dei parenti delle vittime di Tienanmen. Questa sua opera di solidarietà non solo fu bloccata qualche mese dopo, ma gli costò l’accusa di finanziamento ad attività sovversive e un nuovo arresto nel 1995.

Il punto sul quale Wei avrebbe preso la parola era quello relativo ai diritti dei lavoratori. Come spesso ci accadeva, dopo un’introduzione che corrispondeva al tema sul quale si era chiesta la parola, suggerivamo che l’oratore si concentrasse su tutt’altro. Aderire al titolo dell’intervento per qualche riga serviva solo a non farsi togliere la parola dalla presidenza per ‘estraneità di materia’. Dopo un paio di critiche circa i diritti lavorali in Cina, Wei affrontò, per l’appunto, il tabù del massacro di piazza Tienanmen. Fece esplicito riferimento ad alcuni parenti di studenti e giovani operai rimasti uccisi durante le manifestazioni del 4 giugno 1989. Secondo Wei, per anni le famiglie di chi aveva preso parte a quelle dimostrazioni erano state discriminate se non maltrattate dalle autorità cinesi per le scelte dei propri figli.

Nel suo lungo intervento, Wei denunciò anche un episodio increscioso occorso qualche giorno prima proprio alle Nazioni Unite di Ginevra. Alcuni diplomatici cinesi avevano infatti chiamato la sicurezza dell’Onu per far cacciare una rappresentanza di parenti della vittime di Tienanmen che stavano consegnando un dossier sulle condizioni di prigionia imposte ai loro figli dopo le manifestazioni del 1989 alle varie delegazioni, ivi compresa quella della Repubblica Popolare Cinese. Di quella delegazione mi ero dovuto occupare anche io perché, naturalmente, era entrata al Palais des Nations grazie al badge del Partito Radicale Transnazionale. Malgrado la denuncia dell’incidente, anche l’intervento di Wei non suscitò alcuna reazione governativa.

Se la diplomazia cinese faceva finta che Wei non fosse Wei – anzi, che Wei non fosse a Ginevra – le sue conferenze stampa erano sempre partecipatissime e fruttuose, almeno per lui. La Tribune de Génève gli dedicò la prima pagina, senza però ricordare che era lì a nome e per conto del Partito Radicale, e sue interviste apparvero un po’ dappertutto sulla stampa e le tv di mezzo mondo. Dopo la sorpresa dell'arrivo di Wei e i parenti delle vittime, accreditate col giochino della cancellazione dei nomi e la sostituzione all'ultimo minuto, mi fu detto che la delegazione cinese aveva rafforzato il controllo al villino degli accrediti. Giunti dove eravamo, solo l’arrivo del Dalai Lama in persona avrebbe potuto irritare maggiormente Pechino. Offrii il pranzo alla bionda spagnola per ringraziarla.

Cosa succede a non ascoltare il @radicalparty a @UN, tratto da "Operazione Idigov"


Cinquantaseiesima sessione della Commissione per i diritti umani delle Nazioni Unite, 11 Aprile 2000
Dibattito aperto sul rapporto dell’Alto commissario sulla situazione in Cecenia
Intervento orale del Prt
Pronunciato dall’onorevole Akhyad Idigov

Signor Presidente,

intervengo a nome del Partito Radicale Transnazionale a seguito della recente visita dell’Alto commissario in Russia e nella Repubblica cecena di Ichkeria.

Con la visita del commissario Robinson la gravità delle violazioni russe del diritto internazionale in questo angolo d’Europa è finalmente diventata evidente al mondo intero. La durata – dal 1991 – e l’estensione di questo processo hanno ormai assunto una dimensione pericolosissima. Per motivi etnici i ceceni vengono perseguitati in tutta la Federazione russa, mentre in terra cecena essi vengono semplicemente uccisi senza processo, oppure con pesanti bombardamenti di interi villaggi.

La Russia, degno successore dell’Unione Sovietica, continua l’epopea di sangue che iniziò in Afghanistan, passando poi per la Lituania, il Nagorno Karabakh, l’Azerbaigian, il Kazakistan, la valle di Fergana, la Georgia, il Tagikistan, la Moldavia, l’Abkazia, l’Inguscezia, fino ad arrivare alla Cecenia… La lista continuerà ad andare avanti se non saranno adottare misure a livello internazionale per porvi fine.   

Sin dal 1991 la comunità internazionale è rimasta silente di fronte a tanta violenza consentendo all’assenza di stato di diritto di prevalere in quest’area del mondo. Quante altre vittime innocenti dovranno morire? Quante altre lacrime dovranno essere versate da bambini e donne che hanno perso case e famiglia? I ceceni vengono anche privati del diritto allo status di rifugiato nonché alla libertà di movimento ovunque, inclusa l’Europa.

La guerra indiscriminata e le operazioni di pulizia etnica condotte contro i ceceni dalla Russia possono solo essere descritte in termini di genocidio. Occorre una reazione appropriata da parte della comunità internazionale.

Signor Presidente,

Il diritto dei ceceni all’autodeterminazione è un elemento fondamentale per la stabilità e la pace del Caucaso. Non possiamo non affrontare questa questione cruciale, che si nasconde dietro tutte le azioni della Russia contro la Repubblica cecena di Ichkeria e la sua popolazione.

Dal 1991, in linea con il diritto internazionale, le leggi dell’Unione Sovietica e della Federazione russa, nonché nel rispetto della dichiarazione sulla sovranità statale del 12 giugno 1990, la Cecenia ha fatto uso del diritto a formare un proprio stato come hanno fatto altri paesi ex sovietici di recente indipendenza.    

[La delegazione della russa interrompe l’intervento lamentando che la Cecenia è una repubblica della Federazione russa]

Ciò è stato fatto con l’obiettivo di garantire, attraverso la comunità internazionale, la sicurezza per la popolazione cecena, una sicurezza negata dalla Russia per quattrocento anni con deportazioni periodiche e guerre ogni quaranta-cinquant’anni. Tale diritto dei ceceni viene ancora oggi negato e, se ciò dovesse continuare, potrebbe condurre soltanto al completo annientamento della popolazione cecena.

Occorre ricordare che il 12 maggio 1997, al termine dell’ultima guerra russo-cecena del 1994-1996, la Russia firmò un trattato di pace e coesistenza con la Repubblica cecena di Ichkeria. Il principio cardine di tale accordo era la costruzione di relazioni bilaterali sulla base del diritto internazionale. La Russia ha subito violato i termini di quell’accordo che pure aveva firmato isolando la Cecenia dal resto del mondo e creando le condizioni per lo sviluppo della situazione a cui assistiamo oggi.

Le autorità russe hanno fatto del loro meglio per fomentare la paura presso i popoli che vivono all’interno dei propri confini. Per giustificare la guerra contro i ceceni, per vincere le elezioni presidenziali del 2000 e per minare gli interessi economici dei paesi occidentali che tentavano di bypassare Mosca si è sempre utilizzato il pretesto della lotta al terrorismo.

Signor Presidente,

al fine di ottenere la pace è fondamentale che i negoziati tra le parti abbiano inizio sotto stretto monitoraggio internazionale a garanzia degli accordi raggiunti. Per poter essere efficaci tutto deve avvenire tra le autorità cecene legalmente elette nel 1997 sotto la leadership del Presidente Aslan Maskhadov e Mosca. Ogni altra soluzione non rispetterebbe la volontà del popolo ceceno e sarebbe destinata al fallimento.

Thursday, March 20, 2014

altro estratto da "Operazione Idigov, come il Partito Radicale sconfisse la Russia di Putin alle Nazioni unite nel 2000"


Dal silenzio durante la colazione in albergo di quel 6 aprile, si capiva che tutti i componenti della delegazione del Partito Radicale avevano trascorso una notte insonne al pensiero di come la Russia avrebbe potuto reagire all’intervento che Idigov avrebbe fatto di lì a poco.


Cinquantaseiesima sessione della Commissione per i diritti umani delle Nazioni Unite
Intervento orale del Prt sul punto 11 dell’ordine del giorno
Pronunciato dall’onorevole Akhyad Idigov

Signor Presidente, onorevoli delegati, signore e signori,

vi ringrazio per l’opportunità che mi viene concessa di prendere la parola a nome del Partito Radicale Transnazionale relativamente alla libertà di parola, alla tortura e a trattamenti e punizioni disumane e degradanti.

Il fatto che gli Stati abbiamo adottato e sottoscritto delle convenzioni internazionali non ha fatto purtroppo sortire gli effetti desiderati: le violazioni dei diritti umani continuano. Infatti, milioni di persone oggi si sentono indifese di fronte a decisioni arbitrarie - questo provoca molteplici conflitti e sacrifici umani. Le cosiddette ‘zone calde’ continuano a emergere in tutto il mondo. Appare chiaro quindi che ulteriori meccanismi debbano essere adottati per prevenire la violazione di norme e convenzioni internazionali.

Non passa giorno che i media non ci riportino le voci di popoli che attendono un vostro cenno e le azioni conseguenti delle Nazioni Unite.

Voci che dicono la verità sono silenziate, come quello del giornalista di Radio Liberty Andrei Babitsky. Leggendo le prove raccolte da organizzazioni come Amnesty International oppure Médecins sans Frontières e i lavori di altre Ong e organizzazioni umanitarie, possiamo vedere quali siano i problemi che dobbiamo affrontare per creare un mondo dove i diritti umani possono essere goduti da tutti allo stesso modo.

Vorrei fare l’esempio delle violazioni dei diritti umani, per motivi etnici, incluso quello della libertà di parola, della tortura, dei trattamenti e punizioni disumane e degradanti, che avvengono all’interno dei confini della Repubblica cecena di Ichkeria, da cui provengo.

Lo stato russo, senza fornire alcuna prova, ha accusato l’intero popolo ceceno di essere responsabile degli attentati occorsi in alcune città di quel paese. I ceceni che vivono in Russia, come quelli che vivono in Cecenia, son stati messi arbitrariamente sotto accusa e gli è proibito viaggiare all’estero. A oggi si stima che i rifugiati ceceni siano duecentomila e i loro diritti non esistono.

Ho con me copia della decisione numero 1514-3612 del 4 settembre 1999, firmata dal capo ufficio del Ministero degli interni russo, nonché copia del decreto N-2887-P del 1994 relativo alla deportazione del popolo ceceno firmata dal Primo Ministro Viktor Chernomyrdin in persona!

Oggi siamo in guerra di nuovo! Dal 1994 più di centoquarantamila civili sono stati uccisi. La gente muore sotto bombe e razzi, muore per le torture nei campi di filtraggio, muore per l’umiliazione del loro onore e della loro dignità.

Il governo russo sopprime ogni possibile informazione indipendente e dettagliata. Ai giornalisti e alle organizzazioni umanitarie non è consentito di entrare in Cecenia. Che valore potrà mai avere l’informazione se fornita da una parte sola, dalla parte che uccide i civili?

Molti sono i casi di abusi di diritti umani che son stati documentati, ne ricorderò uno su tutti. Nella notte tra il 6 e il 7 febbraio 2000, il villaggio di Gekhi-Chu in Cecenia è stato vittima di diciassette ore di bombardamenti ininterrotti che hanno raso a suolo tutte le case. All’alba del giorno dopo più di cinquecento soldati hanno fatto ingresso tra le macerie per sterminare e umiliare chi non era riuscito a scappare. Nel giro di poche ore sessanta persone son state giustiziate, tra loro donne e bambini. Ho con me un appello firmato dai sessantaquattro superstiti.

Signor Presidente, il Partito Radicale Transnazionale condanna le gravi violazioni dei diritti umani commesse dalla Russia in Cecenia e chiede che le autorità russe siano poste di fronte alle loro responsabilità.

Io, Akhyad Idigov, Rappresentante del Presidente della Repubblica cecena di Ichkeria davanti alle Nazioni Unite, Presidente della Commissione esteri del Parlamento ceceno e vice presidente dell’Organizzazione delle nazioni e popoli non rappresentati, ho già avuto l’onore di prendere la parola davanti a questa assemblea esattamente due anni fa. Anche allora sollevai, con altri, il problema della massiccia violazione dei diritti umani in Cecenia e mi appellai a voi affinché s’intervenisse nel conflitto. Purtroppo le nostre voci non furono ascoltate.

Oggi abbiamo ancora una volta la prova di cosa stia accadendo in Cecenia, la stessa Alta commissaria ne ha fatto cenno ieri davanti a questa augusta assemblea.

Signor Presidente, La invitiamo a porre tutta l’attenzione di cui è capace sulla Cecenia. Le parlo a nome del popolo ceceno, del Presidente Aslan Maskhadov e del Parlamento della Repubblica cecena di Ichkeria.

[La delegazione russa interrompe l’intervento chiedendo che venga chiarito a nome di chi viene presentato l’intervento. L’oratore si scusa e ripete di parlare a nome del Partito Radicale Transnazionale. Il presidente argentino della Commissione accetta le scuse e consente la ripresa dell’intervento]

Chiediamo che venga istituita una commissione internazionale d’inchiesta sulle violazioni dei diritti umani in Cecenia. Dobbiamo salvare vite umane. Per favore prestate ascolto alle voci del popolo ceceno che si appella a voi oggi. Nel 1997 i ceceni hanno espresso il loro desiderio con delle elezioni democratiche. È anche contro quello che la Russia ha dichiarato guerra. Non abbandonateci. Ascoltate questo nostro rinnovato appello.

Grazie per l’attenzione.



Silenzio. Non un applauso né una rimostranza a parte l'interruzione "procedurale" del capo delegazione russa. Le gravi accuse di Idigov furono accolte da una cappa di greve silenzio ugualmente distribuito tra le delegazioni governative e le Ong.

Non mi schiodai dal posto che mi ero conquistato in prima fila tra gli spettatori e restai in attesa che la Russia nel prosieguo della discussione alzasse la mano per prenotarsi al diritto di replica. Non accadde. La delegazione russa se ne stette zitta e ferma come aveva fatto per tutto l’intervento. Zitti e fermi per tutto il resto del giorno ad ascoltare gli altri interventi che confermavano una a una le accuse del Partito Radicale denunciate da Akhyad Idigov.

Dopo aver chiesto a Idigov come stesse con un disinvolto “harasho?”, al quale rispose sorridendo nervosamente con una fronte imperlata di sudore, tornai al mio posto immaginando come e quando avrebbe finalmente reagito la delegazione russa a quel fuoco incrociato. Niente.

altro estratto da Cap 1 di "Operazione Idigov, come il Partito Radicale ha sconfitto la Russia di Putin alle Nazioni unite nel 2000"

Non avevo mai sentito rammentare il nome di Akhyad Idigov fino a quando il professor Michael van Walt van Praag non me lo segnalò via mail intorno alla fine di febbraio del 2000. A dire la verità non conoscevo direttamente neanche Michael; il suo nome mi era noto perché Marino Busdachin, mio predecessore in qualità di rappresentante del Partito Radicale Transnazionale alle Nazioni Unite, lo aveva evocato in più occasioni decantandomene le innumerevoli qualità. Il professor Van Walt, fra le tante varie cose, era e resta uno dei più attivi e ascoltati consiglieri del Dalai Lama, nonché uno dei promotori dell’Unpo, l’Organizzazione delle nazioni e popoli non rappresentati, con la quale il Partito Radicale collaborava da qualche tempo nelle sessioni annuali della Commissione e sottocommissione per i diritti umani dell’Onu, che si tenevano a Ginevra. Marino e Michael avevano sviluppato un ottimo rapporto di collaborazione, quel che il secondo suggeriva il primo coglieva sempre come spunto per iniziative politiche. La collaborazione tra le due organizzazioni era costante anche se non strutturale. Alla fine del 1999 l’Unpo aveva eletto la Cecenia vice presidente dell’organizzazione.

Akhyad Idigov nasce nel 1948 in Cecenia da una famiglia d’insegnanti. Dopo aver studiato al politecnico di Groznyj lavora come ingegnere per la compagnia petrolifera nazionale sovietica. Negli anni dell’università si avvicina alla politica e nel 1991 è eletto per la prima volta al parlamento ceceno di cui, dal 1993 al 1997, ricopre la carica di presidente. Successivamente, dal 1997 al 2000, ne presiede la Commissione affari internazionali. Nel 2000, a seguito dell’inasprirsi del conflitto russo-ceceno, Idigov decide di trasferirsi a Parigi assumendo l’incarico di portavoce e rappresentante internazionale dell’allora presidente ceceno Aslan Maskhadov. Come tutti i cittadini residenti nelle repubbliche sparse alla periferia dell’ex impero sovietico, Idigov viaggiava con un passaporto che sulla copertina aveva ancora stampato un minaccioso ‘Cccp’. Poche erano le pagine rimaste libere per i visti necessari a girare legalmente in Europa, molte le cose che aveva da dire alla comunità internazionale.

Il professor Van Walt, un olandese cosmopolita di poche parole, mi presentò Idigov come il vice presidente dell’Unpo e insistette affinché il Partito Radicale lo accreditasse alla Commissione per i diritti umani di Ginevra fin dalle idi di quel marzo del 2000. L’email di Michael si concludeva con un laconico “if you don’t do it nobody else will” (“se non lo fate voi non lo farà nessuno”).

Wednesday, March 19, 2014

Estratto dal Capitolo 1 di "Operazione Idigov, come il Partito Radicale sconfisse la Russia di Puntin alle Nazioni unite nel 2000"


Contrariamente a quanto accadeva da almeno cinque anni, nella primavera del 2000 non c’erano stanze libere all’Hotel Mon Répos di Ginevra, dove di solito affittavamo un appartamento per la delegazione radicale e i vari oratori ospiti. In attesa che si liberasse una stanza, per qualche notte finii in una locanda a due stelle nel quartiere a luci rosse nei pressi della stazione centrale della città.

L’umile ma onesta bettola apparteneva a una famiglia kosovara scappata in Svizzera nei primi anni Novanta. Gestivano la locanda in attesa di poter tornare in patria una volta guadagnata la libertà e l’indipendenza dagli odiati serbi. Se le giornate le passavo alle prese con la burocrazia delle Nazioni Unite, le nottate se ne andavano chiacchierando con i proprietari dell'alberghetto ricordando la guerra nella ex-Jugoslavia. Erano originari di Malishevo, nel distretto di Prizren.

Nel gennaio del 1999, nel quadro della campagna del Partito Radicale per incriminare Slobodan Milosevič al Tribunale dell’Aja, avevo passato un paio di giorni su una montagna proprio nei pressi di Malishevo. La missione, finanziata dalla fondazione di George Soros, si era svolta prevalentemente nell'autunno dell'anno precedente con una serie di incursioni sotto mentite spoglie nelle varie repubbliche ex jugoslave per raccogliere le prove della responsabilità politica di Milosevič per i crimini di guerra e contro l’umanità commessi nei Balcani.

Dopo essere stati in Macedonia, Serbia e Montenegro e aver visitato più volte l’Albania, da ottobre a dicembre 1998, era venuto il momento di descrivere la catena di comando e il modus operandi dell’esercito per la liberazione del Kosovo (Uçk). Si trattava di un lavoro necessario per arrivare a  dimostrare che si trattava di un’organizzazione con una vera e propria struttura militare che lottava per la resistenza e la liberazione della propria terra e non, come sosteneva il regime di Milosevič, di una banda di terroristi. La missione a Malishevo, in compagnia di Niccolò Figà-Talamanca, allora consigliere legale di Non c'è pace senza giustizia, e Florence Darques, una giurista francese, ci fece passare un paio di giorni in una baracca sotto la neve nel tentativo di intervistare la leadership di un gruppo di miliziani dell’Uçk. Eravamo arrivati a destinazione dopo una serie interminabile di telefonate. Dall’altra parte del nostro satellitare c’era la voce dello ‘lo squalo’ Hashim Thaçi, che dieci anni dopo sarebbe diventato il Primo ministro del Kosovo indipendente, che dal quartier generale dell’Uçk, probabilmente a Berna, ordinava ai vari check point kosovari di farci passare perché amici della ‘causa’.

Anche se pieni di cartine geografiche ricevute in gran segreto da Antonio Russo in un bar di Pristina qualche settimana prima, riuscimmo ad arrivare a destinazione solo grazie a una guida armata che ci era stata rocambolescamente assegnata in pianura nei pressi di quella che una volta doveva essere una scuola elementare. Mentre salivamo la stretta salita vero la vetta della montagna con la nostra 4x4 presa in affitto a Skopje in Macedonia, una lunga fila indiana di persone scendeva a piedi in raccolto silenzio. Si era da poco tenuta la cerimonia funebre in onore di uno dei comandanti del ‘battaglione’ che stavamo per incontrare. Nella ‘caserma’, una casa senza mobili col tetto robusto e riscaldata da un'unica stufa per stanza, si entrava scalzi. Accanto alla montagna di scarponi fangosi all'entrata c’erano decine di kalashnikov e pistole appoggiate al muro. Gli intervistati erano per lo più nostri coetanei. Per tre giorni mangiammo fegato arrosto e uova fritte a colazione, pranzo e cena. Si beveva del tè dolcissimo, tutti dallo stesso bicchierino.

La missione si concluse in tempo per poter compilare un dossier che fu poi consegnato alla giudice canadese Louise Arbour, all'epoca procuratrice del Tribunale ad hoc dell’Aja. Il documento fu in seguito distribuito alla stampa alla vigilia della conferenza di pace che la comunità internazionale, non paga dei fallimenti degli accordi di Dayton del novembre del '95 sempre sulla guerra iugoslava, convocò nel castello di Rambouillet in Francia nel febbraio 2000 coinvolgendo tutte le parti in causa per la ricerca di una "pace negoziata".

Non potei essere della partita perché mi trovavo a Lodi a raccogliere le firme per le regionali del 2000. Quel lavoro di documentazione delle responsabilità politiche e militari serbe e yugoslava effettuato dal Partito Radicale e No Peace Without Justice contribuì in modo sostanziale a definire i capi d’imputazione di Slobodan Milosevič, il quale, in effetti, di lì a poco sarebbe stato incriminato di crimini di guerra e contro l’umanità a partire da quelli commessi, per l’appunto, in Kosovo.

I racconti di come avevo contribuito all’incriminazione del presidente serbo mi fecero guadagnare la gratitudine e la stima dei proprietari della locanda. I ricordi dell’impresa furono sempre abbondantemente celebrati negli interminabili dopocena con sostanziose quantità di rakija, la vodka dei Balcani. Fortunatamente niente fegato o uova fritte.